Alla vigilia del rally-raid più duro al mondo, la Dakar in Arabia Saudita, molti osservatori annoveravano il pilota ceco Martin Macik, vincitore della scorsa edizione della competizione, fra i favoriti nella categoria camion. Pochi, però, avrebbero immaginato una vittoria così netta sul traguardo di Shubaytah, dopo una corsa di 8 mila chilometri con oltre 5 mila chilometri di prove speciali.
Il distacco in classifica generale di circa due ore e mezza inflitto ai diretti concorrenti, l’olandese Mitchel Van Den Brink (numero di gara 602) e il ceco Ales Loprais (601), non rende appieno la superiorità mostrata per l’intero rally dall’equipaggio di MM Technology. Che ha preso il comando alla terza frazione – quella da Bisha a Al Henakiyah – mantenendo fino alla fine con cinque vittorie di tappa.
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“Sono assolutamente entusiasta della vittoria, anche se non lo do a vedere. L’intera squadra, incluso il team in cabina composto dal navigatore Frantisek Tomasek e dal meccanico David Svanda, ha lavorato senza sosta ed è stata tutt’altro che una passeggiata. Le aspettative erano alte. Un enorme ringraziamento a tutti coloro che ci hanno sostenuto, le famiglie, i nostri partner e i nostri fan. Il sostegno è stato davvero incredibile” – ha commentato Martin Macik Jr. dopo aver tagliato il traguardo.
L’ultima tappa della Dakar di quest’anno, che si è sviluppata su un percorso soli di 61 chilometri, ha riservato un colpo di scena ai concorrenti. È stata, infatti, decisa dagli organizzatori una partenza di massa, molto insolita nella storia moderna del rally. I camion hanno affrontato l’ultima frazione a gruppi di quattro, costringendo i migliori concorrenti a un testa a testa finale. “Non mentirò. Ero nervoso. Avevamo un vantaggio solido, ma sarebbe potuto succedere di tutto. Un incidente avrebbe significato non finire la tappa, e sarebbe stato un disastro“, ha commentato Macik, riflettendo sulla tensione prima della partenza.
Anche quest’anno il vincitore del rally ha tenuto fede al proprio stile di guida, adattandosi di volta in volta alle difficoltà del percorso ed evitando inutili stress e pericoli di rotture al proprio camion, affettuosamente battezzato ‘Benny’, per preservarne le performance fino al traguardo finale.
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